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Back in time: la moda riscopre i valori del passato (e dimentica i sette vizi capitali)

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Riportare la moda a un passato più virtuoso. Sostenibilità, lavorazioni artigianali, eleganza senza tempo, valorizzazione delle realtà locali, collezioni più ridotte, stretto rapporto con i clienti, capacità di adattamento: sono questi gli ingredienti del “back in time“. E se il segreto per fare un passo avanti fosse farne uno indietro?

MODA E STILI DI VITA

È questa la domanda che nel mondo della moda ci si pone durante l’emergenza Coronavirus.

La crisi incombe su un settore che vale circa 2.500 miliardi di dollari, visto che la quarantena ha costretto gran parte degli abitanti del Pianeta a rallentare il passo, aprendo la porta a una vita più semplice, fatta quasi esclusivamente di acquisti necessari, meno sprechi e più tempo trascorso in famiglia.

Ed è così che, amplificando un trend già in atto da qualche tempo, lo stile di vita si fa più attento all’ambiente, attribuendo più importanza all’artigianato e ai prodotti realizzati in modo sostenibile.

Riscoprire i valori del passato

Dunque, il futuro può attendere: è tempo di riscoprire il passato e riprenderne alcuni valori, cogliendo l’occasione per rimediare ai vizi capitali ai quali parte del settore fashion ha ceduto negli ultimi anni.

Glocalizzazione, sostenibilità, artigianalità, coerenza e tradizione: sono questi gli ingredienti del back in time, un trend che non riguarda solo la moda, ma si allarga ad altri comparti.

Nel cinema, ad esempio, c’è chi preannuncia un ritorno del drive-in; in cucina si riscopre il piacere del pane fatto in casa; nei trasporti, infine, sembra essere la bicicletta il mezzo su cui puntare per evitare le affollate metro cittadine.

È quanto emerge da uno studio condotto da Espresso Communication su oltre 20 testate internazionali per Bigi Cravatte Milano.

Una realtà di quasi ottant’anni e lavorazioni immutate per prodotti di qualità che durano nel tempo: questa la ricetta che Stefano Bigi, amministratore unico di Bigi Cravatte Milano, spiega per le sue cravatte.

Rigorosamente confezionate a mano, sono alla ricerca di un’eleganza sobria e raffinata, con una meticolosa selezione delle materie prime e senza l’ansia di una moda che cambia in fretta, perché se è una bella cravatta di qualità oggi, lo sarà anche l’anno prossimo e quello dopo ancora.

I 7 vizi capitali del Fast Fashion

Ecco allora i 7 vizi capitali del fast fashion e come superarli per dare vita a una nuova moda degli anni ’20.

1 – Superbia. Mai più pensare di essere più importante del Pianeta. L’industria della moda è responsabile del 10% delle emissioni annuali globali di diossido di carbonio e utilizza ogni anno 1,5 miliardi di litri d’acqua e, almeno in America, ogni ora si gettano circa 20 kg di vestiti, alimentando l’inquinamento dell’aria e quello degli oceani.

2 – Avarizia. Basta farsi guidare esclusivamente dal profitto e optare per manifatture a basso prezzo. Meglio preferire lavorazioni di qualità e manuali perché oggi l’artigianalità rappresenta un valore aggiunto, capace di guidare le scelte del consumatore e incrementare le vendite. Le persone sono più disposte ad acquistare, regalare o pagare una cifra più alta per oggetti o capi confezionati a mano in quanto i prodotti artigianali “contengono più amore”.

3 – Lussuria. No alla soddisfazione dei clienti con capi fatti per non durare. Nel post Coronavirus si farà largo l’idea di produrre e acquistare vestiti dall’eleganza senza tempo, di qualità e in grado di accompagnare le persone per gran parte della loro vita. Riscoprire vestiti dimenticati e riadattarli è un utile trucco per rinnovare il guardaroba senza fare nuovi acquisti.

4 – Invidia. Non desiderare di essere come chi produce tanto, ma di chi produce bene. Nel dopo Coronavirus la produzione locale sarà protagonista di una fase di espansione e gli atelier artigianali vivranno un momento di rinascita. Parola chiave sarà glocalizzazione, un approccio che consiste nel mantenere le specificità locali, aprendosi però a un mercato globale.

5 – Gola. Evitare di produrre un’eccessiva quantità di capi durante il corso dell’anno. Basta alle mode fatte per durare appena qualche mese, che spingono i consumatori ad acquistare nuovi capi e creano una domanda artificiale.

6 – Ira. Inutile arrabbiarsi per l’emergenza in corso, ma utilizzare questo periodo per organizzarsi e costruire un nuovo rapporto con i clienti.

7 – Accidia. Il settore del fashion ha peccato di resistenza al cambiamento, senza modificare le proprie abitudini negli ultimi anni. Ora bisogna superare l’avversione al rinnovamento e costruire un futuro diverso: se è vero che il 15% dei consumatori statunitensi ed europei acquisterà capi più sostenibili, solo i brand capaci di rispondere a questa nuova domanda potranno captarla al meglio.

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